Autismo in tempo di COVID -19
Riflessioni sull’influenza del covid-19 sulla quotidianità delle famiglie di bambini e ragazzi autistici
A cura di
Dott.ssa Manuela Casetta e Dott.ssa Federica Morra, Logopediste presso CPL Rivoli
E con la collaborazione di
Arianna Porzi, Presidente dell’A.N.G.S.A. Piemonte sez. di Torino Onlus (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici)
Dott.ssa Tiziana Mo, Psicologa Psicoterapeuta, e Dott.ssa Cristina Belfiore, Psicologa, presso L’Associazione d’Idee Onlus
L’arrivo del virus Covid 19 ha sconvolto la quotidianità di ogni individuo: stiamo infatti assistendo ad un fenomeno completamente nuovo e inatteso, che ci obbliga a rimanere nelle nostre case, senza la certezza di una fine prossima.
In quanto psicoterapeuti e riabilitatori, questa nuova situazione ci ha portato a interrompere il contatto diretto con la maggior parte dei nostri pazienti; tuttavia abbiamo mantenuto un costante rapporto con le loro famiglie, accogliendo i loro vissuti e cercando di fornire un supporto specializzato, seppur a distanza. In particolare, abbiamo potuto identificare un gruppo di genitori che, oltre alla realtà di monotonia delle giornate che tutti noi viviamo ed alla plausibile paura del futuro, si trova ad affrontare una nuova quotidianità maggiormente faticosa da gestire, che richiede costante controllo e attenzione e che li mette a dura prova: parliamo dei genitori di bambini e ragazzi autistici.
Questo confronto con loro ci ha fornito molteplici spunti di riflessione che pensiamo possano essere di interesse comune, in quanto originati non dal nostro punto di vista ma da quello di chi vive in prima persona questa situazione. Sono state pertanto accolte e riportare le esperienze e i vissuti di alcuni genitori di bambini e ragazzi autistici che ci hanno raccontato la loro quotidianità.
Un contributo altrettanto significativo ci è stato inoltre offerto da Arianna Porzi, Presidente dell’A.N.G.S.A. Piemonte Onlus (sez. Torino) e genitore di un ragazzo autistico, che oltre al suo punto di vista personale, ci ha fornito una visione a può ampio raggio di quanto stia accadendo sul territorio torinese.
Ringraziamo pertanto quanti hanno contribuito alla stesura di questo articolo, attraverso il quale speriamo di sensibilizzare coloro che lo leggeranno e di aiutare altri genitori nella gestione del difficoltoso periodo. All’articolo è inoltre allegata una breve storia e in simboli, creata per bambini con difficoltà di comunicazione e finalizzata ad aiutarli nella comprensione di questo periodo.
L’Influenza del covid-19 sulla quotidianità delle famiglie di bambini e ragazzi autistici
Dalla raccolta di esperienze che ci sono giunte a mezzo di intervista, il primo aspetto che viene sottolineato è la perdita dell’abituale routine nella quale il bambino è inserito: la scuola, le attività extrascolastiche, le numerose terapie svolte. Normalmente la vita delle famiglie dei bambini autistici è scandita da numerosi appuntamenti, che si susseguono nell’arco della settimana e che sono attivati al fine di stimolare in maniera individualizzata competenze e obiettivi comunicativi, sociali, didattici e cognitivi. Improvvisamente i bambini e le famiglie si ritrovano ventiquattro su ventiquattro tra le proprie mura domestiche, senza poter uscire. Seppur ogni bambino abbia reagito in modo differente ai cambiamenti, durante le settimane iniziali della crisi sanitaria, è stato evidente un aumento di situazioni problematiche e la comparsa di segnali di frustrazione da parte dei bambini; frustrazione derivata da una interruzione delle abitudini consuete improvvisa, che non ha quindi consentito una “preparazione” al cambiamento dei bambini stessi e del contesto, e derivata dalla difficoltà, più o meno marcata, a comprendere il perchè di tale cambiamento.
Progressivamente è stata pertanto impostata una nuova ruotine domestica, che gradualmente ha rassicurato i bambini riducendo agitazione e frustrazione. Scrive una mamma: “Nella prima fase mostravano nervosismo, a tratti isterismo, insoddisfazione, noia. Le prime due settimane abbiamo cercato di reimpostare una routine; giorno dopo giorno la soglia di attenzione è aumentata sempre di più”. Un’altra mamma racconta : “Lo spezzare delle sue routine è stato per lei come finire in un tunnel senza via d’uscita. Parliamo di una bimba non verbale. Quindi parecchie domande e curiosità lei non ha neanche potuto porle, nè chiedere il perché o togliersi i suoi dubbi.”
E ancora: “Nelle prime due settimane è stato molto difficile abituarlo a un ritmo diverso da quello abituale. Quello che più gli mancava erano le uscite con la macchina (mi portava più volte al giorno la foto della macchina, della spesa ecc.. che vengono usate al momento dell’uscita”.
Nonostante quanto precisato nelle righe precedenti, alcuni genitori hanno riportato una tendenza invertita, ovvero la presenza di minori criticità nel periodo iniziale, durante il quale è prevalsa una sensazione di benessere per la ritrovata condivisione del tempo insieme, quasi come una vacanza inaspettata, con una diminuzione delle richieste e degli impegni verso il bambino. Questo si evince dall’estratto di questa testimonianza,: “I primi giorni sono andati bene! Abbiamo avuto l’occasione di ritrovarci e di coccolarci un po’! Poi però si è reso necessario cominciare a fare qualcosa”.
In generale, è comunque velocemente emersa l’esigenza e la volontà da parte dei genitori di far rientrare nella nuova routine anche proposte ed attività più strutturate, mossi dal timore concreto che la perdita di tutte le stimolazioni che i loro figli ricevono nei diversi contesti educativi e riabilitativi, possano portare ad una arresto o, peggio, ad una perdita di competenze. A tali proposte, tuttavia, spesso è corrisposta da parte dei bambini una scarsa collaborazione e talvolta una netta opposizione anche con comparsa di crisi comportamentali. Riferisce una mamma: “Non voleva sapere di lavorare con noi. Con tanta pazienza abbiamo insistito che stesse seduto (all’inizio in braccio) anche se non voleva fare niente e dopo una ventina di minuti cedeva e lavorava. (….). Adesso devo dire che i tempi nei quale sta inattivo si sono ridotti a circa 5-7 minuti e la cosa buona che non prova più ad alzarsi finché non gli dico che è libero.”
Molti genitori hanno potuto ottenere una maggiore collaborazione attraverso alcune strategie comportamentali già utilizzate nei contesti educativi e terapeutici, e sulle quali i loro bambini e ragazzi sono abituati ad appoggiarsi per comprendere contesti e comportamenti nuovi. Tra queste, la strutturazione del tempo mediante agenda visiva, risulta essere una delle strategie più efficaci, in quanto offre la possibilità di poter visualizzare concretamente una successione nel tempo di attività, che hanno perciò un inizio e una fine certo, prevedendo pause e premi. A seconda poi del livello raggiunto dal bambino sarà possibile strutturare da poche attività all’intera giornata fino all’intera settimana. Alcuni genitori hanno poi organizzato momenti precisi della giornata in cui svolgere attività a tavolino con il sostegno della token economy: “Così abbiamo deciso di scandirgli la giornata mediante compiti di diversa natura. Attività per le autonomie e attività a tavolino. Lo strumento che utilizzo per il lavoro a tavolino è la token economy. Cinque gettoni che equivalgono a 5 attività e poi il premio scelto da lui”. Questa mamma spiega l’applicazione dello strumento: si stabiliscono un numero preciso di attività e ad ognuna di esse viene associato un gettone che viene consegnato al bambino al termine del compito. Completate tutte le attività previste, visualizzabile su un supporto per i gettoni “vinti”, il bambino riceve il rinforzo precedentemente definito (gioco, cibo, video).
Alcuni genitori sottolineano che l’applicazione degli strumenti sopracitati e la ristrutturazione di una nuova routine stabile non costituiscono la panacea di ogni criticità. Nonostante l’impegno, si assiste spesso a tono dell’umore fluttuante e crisi comportamentali, alle quali spesso il genitore non sa attribuire un significato o il cui significato è chiaramente noto, ma inevitabile: “Durante il giorno capita che abbia delle crisi, alcune scatenate da motivi che non capiamo, altre dal rifiuto di dargli biscotti fuori orario ed altre ancora quando gli neghiamo o togliamo il cellulare. In genere rientrano con il contenimento fisico”.
La mamma di un ragazzino autistico ad alto funzionamento di 11 anni riferisce: “Inizialmente la criticità peggiore è stata la scuola. Ma lo è tutt’ora. Non recepisce che anche se è a casa dovrebbe lavorare come se fosse a scuola (in realtà anche meno, sicuramente meno). Le video chiamate le regge ma per poco, un oretta massimo”. D’altra parte la stessa madre riferisce: “Lui ha preso bene la situazione generale di stare a casa e dal punto di vista personale è migliorato. È meno stressato (anche se le rare crisi sono più intese), dorme di più, mangia di più, interagisce bene col fratello (che invece prima non sopportava): giocano molto insieme e lui rispetta molto di più il fratello”.
Sono molti i genitori infatti a riportare anche aspetti positivi della situazione, come l’avere maggiore tempo e occasione di stimolare l’acquisizione di autonomie personali e domestiche; ad esempio, la possibilità dei propri figli ad assaggiare cibi nuovi in relazione alle numerose pratiche culinarie: “Ha cominciato a mangiare un sacco di cose nuove, spesso inaspettate (il ripieno di spinaci nella rollata di pollo, la pasta di acciughe, la purea, la panna cotta…)”. O ancora, un altro genitore riporta: “… guardando sempre al lato positivo sta servendo per concentrarsi sulle autonomie ci sono molte cose da fare tutti i giorni con i nostri bimbi e in questo periodo si può provare a farne alcune”.
Altro aspetto positivo riscontrato è inoltre un aumento delle occasioni di relazione e di comunicazione con il proprio figlio, in un clima domestico con ritmi meno pressanti.
Fra le limitazioni maggiormente difficili da tollerare, viene riferita l’impossibilità di effettuare uscite da casa soprattutto per quelle famiglie che non hanno a disposizione un’area verde di proprietà adiacente alla casa. In alcuni comuni tale criticità è stata ovviata con l’apertura esclusiva dei parchi alle persone con disabilità, in orari prestabiliti da appuntamenti: “Criticità più grande: il non poter uscire ma il comune di Rivalta ha dato modo di usufruire del parco giochi su appuntamento e questo fa molto piacere a mio figlio”.
Un’altra mamma, genitore di una ragazzina di 14 anni con diagnosi di autismo infantile grave riporta: “La principale criticità di questo periodo è sicuramente l’impossibilità di uscire a camminare, in particolare con gli educatori che la seguono e che in questo periodo hanno sospeso la loro attività”.
Rispetto al tema del sostegno, i genitori hanno riportato di non sentirsi soli e abbandonati da coloro che per mesi e anni si sono presi cura dei loro figli: la scuola, rappresentata dall’insegnanti di sostegno, psicologi, neuropsichiatri infantili, terapisti ed educatori dei Servizi territoriali e privati, hanno saputo sostenere, accompagnare e guidare, ognuno a proprio modo, le famiglie: “Tutto quello che proponiamo ai bambini è suggerito e supervisionato da tutta l’equipe di specialisti, ASL e privati, tutti si sono mostrati attenti, disponibili e presenti al massimo di quelle che sono le possibilità del periodo”. Un’altra mamma afferma: “Ci viene consigliato e proposto materiale, c’è modo di avere un confronto costruttivo sugli obbiettivi e sul programma da svolgere.”
Un’altra esperienza: “E stata dura, ma nello stesso tempo siamo state fortunate perché tutte le persone che lavorano con lei ci videochiamano. Le maestre fanno lezione online. I suoi compagni le mandano i video”.
Un’altra mamma riferisce: “All’inizio ero un po’ sopraffatta perché dovevo cercare cosa proporre a mia figlia come possibili attività educative e poi farle a tavolino con lei. Ma una volta che si è attivato il supporto di schede da parte della maestra, terapista ed educatrice, è tutto più facile. Poi anche con altri genitori ci scambiamo strategie. Quindi adesso siamo sereni”
Attraverso gli attuali strumenti di comunicazione vengono inoltre condivisi con l’equipe i video effettuati durante le attività e le foto dei vari lavori svolti, al fine di ricevere consigli ed indicazioni specializzate e personalizzate relativamente alle modalità di lavoro, alle eventuali criticità e strategie efficaci ed al fine di condividere obiettivi raggiunti e nuovi.
Con alcuni bambini è stato possibile effettuare vere e proprie sessioni di attività con il terapeuta o con le insegnanti attraverso la videochiamata; per altri, invece, la videochiamata è risultata intollerabile: “Con la terapista abbiamo iniziato a vederci su Skype per lavorare insieme. Lui ha reagito male! Pianti ed urla, fino al vomito”. In questi casi è risultato maggiormente adatto l’invio di materiale alla famiglia e l’attività di counselling con i genitori; in generale si evince una maggiore accettazione della videochiamata se il bambino viene preparato ad effettuarla attraverso storia sociale.
Un altro aspetto da considerare è che molti genitori proseguono l’attività lavorativa in regime di smart working: in talune situazioni è risultato estremamente critico da sostenere, dal momento che molti bambini non hanno ancora sviluppato capacità di auto-intrattenimento e fanno fatica a tollerare la mancata concentrazione di tutte le attenzioni quando mamma o papà sono in casa: “Un’altra difficoltà è per lui accettare che suo padre sia in casa ma che non gli sia permesso di andare da lui mentre lavora. Appena ha un momento di svago vuole andare da lui”. E in situazioni maggiormente critiche, una madre riporta: “Io all’inizio ho provato a lavorare in smart working, ma non si riusciva perché lei aveva delle crisi terribili, ma terribili nel senso che sono ricomparsi episodi di autolesionismo, che erano presenti quando era molto piccola, ma che adesso erano scomparsi”.
Nonostante la diminuzione parziale delle difficoltà comportamentali, gli aspetti positivi e il sostegno delle figure scolastiche e cliniche, le preoccupazioni dei genitori di bambini autistici rimango tante.
In primis, il timore di non fare abbastanza attanaglia molti genitori, con la paura che il bambino possa dimenticare le competenze acquisite nei mesi precedenti quando veniva seguito con continuità settimanale dai terapisti e frequentava ogni giorno la scuola. Una mamma afferma: “Una delle mie paure più grandi è che lui possa dimenticare gli apprendimenti e i comportamenti appresi in precedenza”. Un’altra ancora: “Ci preoccupa che non stia facendo le terapie con una possibile regressione”.
Tale timore è rivolto in particolare all’ambito sociale, che risulta essere quello maggiormente penalizzato dalla situazione che si è creata, e che per gli autistici è l’aspetto maggiormente problematico e più difficilmente educabile in assenza di occasioni concrete di socializzazione con i coetanei: “Ci preoccupa che non abbia la possibilità di stare con altri bimbi”. O ancora: “Purtroppo si va a consolidare la sua già scarsa interazione sociale”. Altre testimonianze: “Mi preoccupa la sua reazione nella vita sociale .(…) questo periodo di isolamento potrebbe portarla ad una chiusura con i suoi coetanei”. “… il timore è che non aprano i centri estivi, per lui il maneggio, sempre per il discorso dell’isolamento sociale”
Infine, a preoccupare è il rientro, ovvero quando le nostre vite riprenderanno davvero a fare il loro corso: i bambini avranno a quel punto consolidato una nuova routine costruita sul permanere a casa, con i propri genitori, in un contesto, per molti di loro, di confort. La paura di queste mamma e di questi papà è quella che si abbatta nuovamente sui propri figli di loro la frustrazione ed il disagio.
Viene infatti riferito: “La nostra paura (comprensibile penso) è che si abituarlo troppo bene a questi nuovi modi più “rilassati ” e che ci vorrà molto più tempo ad reinserimento nei vecchi programmi”.
O ancora: “abbiamo il timore che abbia difficoltà a riprendere la scuola soprattutto il cambio per il passaggio l’anno prossimo in prima media e che abbia difficoltà a riprendere la scuola con attenzione (prima reggeva 4 ore circa, ora solo una)”.
“La cosa che più mi preoccupa di questa situazione è che si è ormai instaurata una routine quotidiana diversa da prima e che temo sarà faticoso modificare quando sarà terminata l’emergenza. Inoltre io sono a casa con lei tutto il giorno e sono molto preoccupata di come reagirà quando potrò ricominciare a lavorare, visto che in questo momento dimostra nei miei confronti ancora più attaccamento di prima!”
Verosimilmente il ritorno ad una condizione pregressa, in tutte le sue fasi intermedie, ci aspettiamo ed auguriamo che possa essere affrontata con maggiore gradualità e tempo di preparazione; sperando inoltre di non dover affrontate rientri eccessivamente “anomali” rispetto alle modalità consuete, in particolare per quel che riguarda le relazioni sociali tra i pari (distanza sociale, riduzione del contato fisico ecc…). Il coinvolgimento delle famiglie nel processo educativo dei loro figli, in tutte le sue strategie e modalità, e la coerenza del loro utilizzo in tutti gli ambiti di vita è sicuramente un punto di forza nell’affrontare la situazione critica che si è creata e la sua evoluzione; risulterà altrettanto importante la presenza e il supporto di tutta l’equipe nell’accompagnare i bambini e le loro famiglia durante la fase di uscita dalle proprie case.
Autismo in tempo di COVID -19: riflessioni!
Arianna Porzi
Presidente A.N.G.S.A. Piemonte sez. di Torino Onlus
Uno degli scenari peggiori che un genitore di un autistico possa immaginare e temere si è verificato: l’emergenza Covid-19, già spaventosa di per sé nel suo carico di rischio sanitario individuale e collettivo, ha stravolto la quotidianità, interrotto le routine, azzerato le attività, gli apprendimenti, impedito le uscite.
Cosa significa questo per un autistico che si agita ad ogni minimo cambiamento, che va in crisi se resta senza nulla da fare (perché fa fatica ad attivare interessi e attività in autonomia), che non comprende fino in fondo cosa sta succedendo se non gli viene comunicato in modo adeguato, che è spesso in difficoltà nel condividere il suo profondo disagio, il suo smarrimento, la perdita di tutti i punti di riferimento, …?.
E’ difficile immaginarlo per noi neurotipici, anche se siamo i genitori, ma indubbiamente, che noi comprendiamo o meno, ci troviamo a gestir le loro reazioni.
Molti genitori così assistono impotenti alla manifestazione prepotente del malessere dei propri figli, della sofferenza, della frustrazione…..si scatenano le stereotipie, le ecolalie le ritualizzazioni estreme (fino al rischio di vere e proprie manie ossessivo-compulsive), le regressioni, le crisi comportamentali auto/etero lesive, in un escalation difficile da controllare, da gestire.
Questi genitori, fino a ieri con una rete di attività e servizi (adeguati o meno, ma comunque presenti), si trovano adesso improvvisamente privi di tutto, con i figli costantemente a domicilio, completamente affidati alle loro cure. Ma non soltanto: ci sono anche famiglie con figli in corso di diagnosi, con gravi problemi di gestione e nessuna rete di supporto né informazioni su come agire autonomamente. Numerose le telefonate, i messaggi e le testimonianze nei social dei genitori disperati o comunque in seria difficoltà, in situazioni da critiche a drammatiche; le casistiche sono molto variegate, così come molto differenti sono gli autismi, i percorsi e i territori.
La prima e maggiore mobilitazione a supporto delle nostre famiglie è avvenuta inizialmente ad opera di Associazioni, Fondazioni e altri Enti del Terzo Settore che a vario titolo si occupano di disabilità e autismo e che da sempre vicariano (in sostituzione o ad integrazione) azioni e responsabilità del pubblico, Questi Enti, in possesso anche di competenze più specialistiche, hanno attivato consulenze on line o la messa a disposizione nel Web di consigli, storie sociali e materiali specifici adatti a colmare il baratro comunicativo che si era creato nei confronti delle persone autistiche, in quanto nei comunicati ufficiali nessuno ha tenuto conto del loro peculiare modo di recepire le informazioni.
Successivamente abbiamo assistito ad una graduale organizzazione di diverse azioni di supporto in remoto alle famiglie, anche dagli Enti Pubblici stessi, ma non in modo così sistematico e con notevoli difficoltà organizzative, amministrative e tecnologiche e purtroppo anche di competenze.
L’emergenza COVID-19 sta mettendo in luce quanto siamo ancora lontani dalla corretta cultura relativamente alla condizione autistica e di conseguenza troppo scarse e inefficaci sono state, e a maggior ragione lo sono oggi, le azioni che ne permetterebbero invece la vera cura (nel senso di “prendersi cura”) e l’inclusione.
In ambito clinico infatti prevale ancora l’assunto che l’autismo sia una deviazione dallo standard neurotipico da estirpare in toto, come una malattia, come il Coronavirus che tanto ci terrorizza, come qualcosa di estraneo all’umanità e dannoso, questo nella peggiore delle ipotesi; nella migliore è un insieme di comportamenti da “normalizzare” a tutti i costi, senza tenere conto della persona, dei pensieri, della ricchezza, pur nella diversità, delle loro menti e di quello che il loro particolare punto di vista, sentire e percepire può offrire all’umanità “di maggioranza”. Ma soprattutto ignoriamo costantemente il prezzo altissimo che pagano le persone autistiche, dai bambini agli adulti, nel sentirsi costantemente etichettati come “disturbati”, sostanzialmente “sbagliati”, costretti ad adattarsi ad un mondo che è esclusivamente neurotipico, fingersi qualcosa che non sono per corrispondere alle aspettative delle persone a cui vogliono bene, senza poter mostrare le loro reali capacità, senza essere mai sé stessi, né sentirsi del tutto accettati.
Questa mentalità purtroppo ricade in primis su noi genitori in quanto è ancora troppo sporadico, nella presa in carico, il coinvolgimento in percorsi formativi e informativi che ci permetterebbero di esercitare il nostro ruolo genitoriale ed educativo con competenza, sicurezza e nel rispetto del funzionamento dei nostri figli.
Nello stato di emergenza in cui ci troviamo questo elemento è emerso con prepotenza: ho osservato con sgomento molti genitori (fortunatamente non tutti) di bambini e adolescenti autistici incapaci di riorganizzare nuovi programmi giornalieri per i loro figli, ricostruire una nuova routine rassicurante attraverso il supporto di ausili visivi, token economy, storie sociali, agende, ecc.
Tutto questo dovrebbe essere appannaggio acquisito dei genitori di autistici. Ma così non è! Questi bambini e ragazzi per la maggior parte non sono abituati ad usare questi strumenti, non gli sono stati proposti o sono stati introdotti in modo parcellizzato senza essere sistematizzati come stile di vita. Ecco allora genitori impanicati che chiedono la possibilità di “portare a spasso” i propri figli per tranquillizzarli, unica risposta alla loro reattività emotiva e comportamentale, più che lecita oserei dire visto le scarse misure preventive messe in campo per evitare di metterli in una situazione di così estrema indeterminatezza, esponendoli ad una maggiore sofferenza e fragilità!
Per non parlare degli autistici ad alto funzionamento per i quali introdurre supporti visivi viene considerato dai più, anche dagli stessi terapisti, un’eresia, perché loro sono così bravi a “mimetizzarsi” con i neurotipici che ci rifiutiamo di dargli strumenti che li identifichino come diversi… come se questo fosse una colpa, qualcosa da nascondere, di cui vergognarsi!!! Non li abituiamo quindi all’uso di strategie e strumenti che, mediando tra il loro funzionamento senza filtri e il mondo esterno iperstimolante e caotico, gli permetterebbero di utilizzare, senza sovraccarico, le loro capacità cognitive, ottimizzando i risultati prestazionali e relazionali, ma soprattutto aumentando il loro stato di benessere.
Tutto quello che prima dell’emergenza non è stato fatto in termini di abilitazione, controllo educativo e autonomie, ora in remoto non è possibile attivarlo e restano completamente scoperte quelle famiglie che ora si trovano a gestire situazioni fortemente scompensate senza nessuno strumento in mano troppo spesso impreparati a gestirsi del tutto in autonomia i propri figli.
Non dico questo per sminuire la complessità dell’autismo, ma parlo molto per esperienza diretta: sono la mamma di un ragazzo, ormai 21enne, autistico con ritardo intellettivo e notevole difficoltà nella gestione comportamentale (all’età di 9 anni mi proposero un intervento farmacologico per sedare le sue crisi); eppure grazie all’incontro con professionisti esperti che mi hanno insegnato le strategie educative adatte, ai corsi di formazione che ho frequentato e soprattutto all’incessante applicazione quotidiana di tutti gli strumenti visivi ed educativi appropriati, fino ad oggi mio figlio non ha mai avuto bisogno di prendere farmaci e sta vivendo con buona tranquillità questo periodo di reclusione. Ribadisco però che se non ci fossa stato tutto il lavoro svolto negli anni precedenti, quando era più piccolo, con costanza e con la collaborazione degli insegnanti ed operatori che ho nel tempo incontrato (e che non finirò mai di ringraziare) e che hanno accettato di imparare da quelli più esperti, mettendosi in discussione, nell’ottica di un vero lavoro integrato in rete, oggi sarei a chiedere interventi domiciliari e deroghe alle norme restrittive per pascolare mio figlio tra giri in auto, parchi e giardini sperando di non finire io stessa in ospedale per le percosse di mio figlio.
Ci sono poi una percentuale non indifferente di autistici, con grande complessità e gravità clinica, perché in condizione non sana, con disabilità e con patologie psichiatriche e /o psicologiche, che rendono il tutto ancora più drammatico e che mette ancora di più a dura prova i genitori. A questi in particolare va il mio pensiero perché, senza un supporto professionale esperto, continuativo e domiciliare o residenziale, le competenze educative possono non essere sufficienti a gestire la situazione. Per tutti loro spero che i servizi si siano attivati così come specificato nelle disposizioni ministeriali.
E l’elenco delle situazioni che ho raccolto in queste settimane e su cui ho riflettuto a lungo (il tempo c’è) potrebbe continuare…..
Perché ci stupiamo quindi se la situazione di questi bimbi e adolescenti diventati fragilissimi e trattati troppo spesso in modo inadeguato (spesso con abusi farmacologici inappropriati) esplode in un momento di emergenza come quella attuale?
Proviamo poi a chiederci come tutto questo ricade su fratelli e sorelle che assistono impotenti alle derive e difficoltà dei loro fratelli/sorelle autistici, compressi spesso in case troppo piccole con spazi in condivisione forzata e prolungatacon un impatto devastante sui fragili equilibri familiari, oscillando tra sentimenti di odio, amore, senso di colpa e rabbia.
In questo scenario, vorrei però sottolineare, non vedo colpe, ma responsabilità e corresponsabilità: vedo genitori che nelle tante voci che sussurrano soluzioni e strategie seguono quelle più accattivanti che urlano “guarigione “ o “normalizzazione”. E come biasimarli? Ma vedo anche la carenza di una guida autorevole e competente, di una rete di professionisti pubblici che li orienti e li supporti nel capire ed accettare, per diventare dei genitori non solo amorevoli, ma anche efficaci.
In Piemonte, dove risiedo, ho osservato molti sforzi e il tentativo di stimolare le collaborazioni tra gli Enti Pubblici che erogano servizi per superare questa situazione di criticità, con risultati ancora molto disomogenei nei vari territori, e con l’onnipresente limite della scarsità delle risorse.
La mia personalissima opinione è che il danno più grande sia costituito dall’arretratezza culturale sul tema delle neurodiversità umane di cui l’autismo è UNA delle sue espressioni. Perché affermo ciò? Perché di fronte alla carenza delle risorse si sarebbe potuto e dovuto compensare attraverso un approccio INTEGRATO dove ogni contesto di vita dei bambini e ragazzi autistici (casa, scuola, attività extrascolastiche, terapie, etc) dovrebbe essere attivato da persone competenti in grado di offrire un ambiente veramente inclusivo dal quale trarrebbero beneficio non solo gli autistici.
Invece, come per esempio per la scuola, e qui il Covid-19 lo ha reso brutalmente chiaro, troppo scarsa è non solo la competenza specifica sull’autismo, ma anche sulla didattica/pedagogia speciale. Se già in condizioni normali c’è la fatica di svolgere la propria funzione didattico-educativa nei confronti di questi bambini e adolescenti e altre problematicità, figuriamoci nella situazione attuale in cui si devono riconvertire gli interventi in indiretti e online, dove anche l’aspetto innovativo e tecnologico presenta la sua criticità.
Fortunatamente ho avuto il privilegio di assistere ad alcune realtà che si sono attivate non solo in modo adeguato, ma addirittura eccellente le quali, pur restando situazioni troppo episodiche, mi fanno ben sperare.
Ora però mi preoccupa il futuro, il dopo emergenza. Sono anni che le Associazioni di genitori di autistici chiedono un adeguamento dei servizi Sanitari, Assistenziali ed Educativo-scolastici, con lentissimi risultati come già illustrato. Ed ora cosa accadrà di tutte le nostre richieste per applicare le norme che tutelano i diritti delle persone autistiche e che ne dovrebbero migliorare la qualità della vita anche “dopo di noi” ?
Questa domanda mi terrorizza quanto il COVID -19……e non aggiungo altro!